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Michele D'Ignazio - A scuola (Rizzoli, 2014)

Michele D’Ignazio – A scuola (Rizzoli, 2014)

Titolo: Storia di una matita. A scuola
Autore: Michele D’Ignazio
Editore: Rizzoli
Pagine: 144
Anno di pubblicazione: 2014 – 7a ristampa: Marzo 2024
Prezzo di copertina: 8,90 €

Lapo diventa supplente d’arte in una scuola elementare e si ritrova con una classe speciale di soli otto alunni, ma ognuno fatto a modo suo: c’è Paolo che pensa solo al calcio, Pamela che parla poco, Tommaso che ha paura di tutto e si mette le dita nel naso… E poi ancora Sabrina, Dario, Matilde, Carla e Filippo.
Anche Lapo, però, è un maestro particolare, che non assomiglia molto agli altri insegnanti. Lui i bambini li fa disegnare sul cemento del cortile, li ascolta, li porta al lago e, in barba a compiti e programmi, li incoraggia a creare mondi nuovi dove il confine fra realtà e immaginazione si fa molto ma molto sottile…
Una nuova avventura del buffo Lapo, per i tanti lettori che si sono appassionati a Storia di una matita, ma anche per tutti quelli che non lo conoscono ancora.

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Qui il primo romanzo: Storia di una matita

Estratti

E così Lapo era tornato ragazzo. Quella rocambolesca settimana da matita ora gli sembrava tutta un sogno. A volte se lo domandava anche… Che sia stato solo un sogno? E invece no. In casa c’erano la valigia piena di facce, il temperamatite gigante e lo zaino con le mine colorate.
E poi quella frase, è stato solo un sogno, non gli piaceva affatto. I sogni sono importanti, a volte più della realtà. E allora perché non capovolgere la frase? È stata solo una realtà!
Lapo aveva messo da parte valigia e zaino, li aveva ben riposti nello sgabuzzino e, pochi giorni dopo esser tornato ragazzo, aveva trovato un lavoro.
Indovinate quale.
No, non il disegnatore di piazza.
Anche se in tanti rimpiangevano i suoi bei disegni e speravano che tornasse sui suoi passi. O meglio, sulle sue linee.
Forse lavorava per il magnate della tv?
Il magnate che adorava i suoi disegni, perché gli ricordavano di quando era un bambino felice e spensierato. Che lo voleva protagonista di un programma televisivo, imprigionato nel rettangolo di un televisore.
No, con lui aveva chiuso! O almeno così credeva…
E non era nemmeno stato assunto nello studio grafico Matisse, il più importante della città.
Era iniziato tutto così: una mattina, molto presto, il telefono aveva squillato.

(Paragrafo 1, pag. 12, A scuola)

Al suo primo giorno di scuola Lapo arrivò puntuale.
In cortile incontrò la maestra Emilia, che insegnava matematica. Era gentile, ma non sorrideva mai. A sentire lei, la classe di Lapo, la quarta B, sembrava un pasticcio totale.
«Paolo pensa solo al calcio, non fa altro che organizzare partite di pallone all’uscita da scuola. 4-4-2, 5-3-2, 4-3-3 sono gli unici numeri che riesce a mettere in fila.»
Nella mente di Lapo si dipinse un campo da calcio con tante linee e forme geometriche. Proprio come un allenatore, visualizzava schemi e traiettorie.
«Dario, invece, non molla mai il suo diario. Scrive tutto il tempo, ma nessuno sa cosa.»
Lapo si immaginò delle lettere a fare compagnia ai ghirigori di Paolo.
«Matilde è una brava bambina, ma ha la dermatite.»
«La derma che?»
«La dermatite. È un’allergia. Senza preavviso, a volte si fa tutta rossa, come se prendesse fuoco.»
Ed ecco cadere sul quadro immaginato da Lapo una bella macchia rossa. E poi un’altra, e un’altra ancora…
«Quello lì, accompagnato dal papà, si chiama Tommaso. Si mette sempre le dita nel naso. Ha il raffreddore tutto l’anno e i suoi genitori non lo fanno mai uscire per paura che si prenda un malanno. Guarda, infatti, entra in classe prima che suoni la campanella. Ha avuto il permesso dalla preside in persona.»
Al pensiero delle dita nel naso, già sapete Lapo cosa si immaginò.
«E poi, e poi?» chiese Lapo, che stava diventando curioso.
«E poi c’è Carla, che sempre parla. È una radio! E le piace anche cantare…»
Lapo aggiunse al suo quadro alcune note sparse qua e là.
«Filippo, al contrario, non parla mai, ha la bocca tappata. Come una bottiglia di spumante, si stappa solo in occasione di un momento importante.»
«Uhm…»
«E poi c’è Sabrina, in matematica si impegna, ma pare voglia fare la ballerina. Infine c’è Pamela, quasi me ne dimenticavo, se ne sta zitta zitta, ma è sempre presente…»
Insomma, alla fine di queste presentazioni sulla tela del quadro immaginato da Lapo, c’erano note musicali, macchie rosse, tappi volanti, dita nel naso, piroette e tanto altro!
Ma tutte quelle parole non lo avevano per niente reso nervoso. Anzi.
«Bellissimo!» esclamò.
«Bellissimo?»
«Sì, sembra un quadro di Pollock!»
«Pollock? Ma che stai dicendo? Dai retta a me: la quarta B è un pastrocchio. La classe più difficile della scuola. Ma che dico della scuola? Del quartiere. Ma che dico del quartiere? Di tutta la città.»

(Paragrafo 9, pag. 42, A scuola)


“Troppa immaginazione fa male” aveva detto quella maestra di fronte al distributore di caffè. E tutti le avevano dato ragione. Forse doveva stare attento…
«È un periodo che Dario ha più fantasia del solito» disse di colpo Mirella.
Era vero. Proprio Dario, che più di tutti vedeva la realtà così com’era, iniziava a fantasticare a occhi aperti, con grande libertà.
Guardando fuori dal finestrino dell’autobus, aveva visto il grattacielo con la lunga antenna televisiva e aveva detto alla mamma che sembrava una gigantesca siringa.
«Il cielo non deve stare tanto bene, se ha bisogno di farsi le punture» aveva aggiunto.
Si era anche immaginato, passeggiando per strada, che le strisce pedonali fossero dei grandi pianoforti da suonare con i piedi, in attesa che il semaforo tornasse verde.
Questo gli riferì Mirella in autobus.
“Chissà cosa penserà Mirella?” si chiese Lapo.
E si augurò che Dario quel pomeriggio non si facesse prendere la mano con l’immaginazione, proprio come accadeva al suo maestro di tanto in tanto.
Dopo qualche fermata arrivarono allo zoo. Fecero i biglietti ed entrarono.
Camminarono fino a un recinto.
«Guarda le scimmie, mamma! Guardale dietro: sembra che abbiano una grande gomma per cancellare» disse Dario.
Correva di qua e di là, emozionato. E davanti a ogni recinto trovava il tempo per aprire il suo diario e scrivere qualcosa.
In uno spiazzo grande e polveroso si muovevano tre struzzi e un rinoceronte.
«Maestro, guarda il corno del rinoceronte! Sembra la punta di una matita.»
«Dario, ma che vai dicendo?» esclamò sua madre.
«E per temperarla? Ci vuole un temperino gigante… o un temperinoceronte!»
Lapo sorrise, ma iniziava ad agitarsi. Sembrava che Dario vedesse dappertutto pennarelli, matite e altri strumenti per disegnare. Raggiunsero presto una vasca piena di coccodrilli, ma furono distratti da un barrito fragoroso. Nelle vicinanze, c’era un grande elefante che faceva tremare la terra a ogni suo passo.
«Andiamo a vedere l’elefante!» gridò Dario, prendendoli per mano.
Era la prima volta che Lapo vedeva un pachiderma. Rimase colpito. Ma Dario lo fece sobbalzare ancor di più.
«Guardate, guardate la proboscide, vedete come disegna?»
In un attimo, tutto cambiò. E Lapo vide quello che vedeva Dario.
L’animale che avevano di fronte sembrava un normale elefante: la pelle grigia e grinzosa, le grandi orecchie, la coda fine e lunga. Ma c’era qualcosa di diverso… la proboscide! Non era grigia, ma di un bel giallo acceso. E non terminava con le narici, ma con una punta perfetta. L’elefante non la usava per raccogliere oggetti e spruzzare l’acqua… ci disegnava!

(Paragrafo 24, pag. 96, A scuola)

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